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Il settore del biomedicale ha chiuso il 2016 con un aumento della produzione dell’1,3% e ora guarda al futuro a testa alta con un occhio attento all’export. Ma le sfide restano aperte. E per vincerle gli investimenti in R&D restano vitali.

È piccolo ma sa il fatto suo. Il settore biomedicale si conferma essere, infatti, uno dei più dinamici della nostra economia. Nell’ultimo anno infatti la produzione di macchinari è aumentata mediamente del 1,3% e il fatturato ne ha beneficiato mettendo a segno un +2,7%. Si tratta di un comparto fatto prevalentemente da micro e piccole imprese e da start-up tecnologiche concentrate in poche regioni quali Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Lazio e Toscana.

Il principale mercato di destinazione dei loro macchinari è rappresentato dalla sanità pubblica, cui sono destinate oltre il 70% delle vendite. Nell’ultimo anno le esportazioni sono cresciute del 6,4%, trainando la manifattura (+9%), altrettanto non si può dire del mercato interno che invece è rimasto pressoché stabile, anche perché negli ultimi tre anni la domanda del settore pubblico è calata del 12,2%.

Calano i brevetti made in Italy

In contrazione anche la riduzione di brevetti detenuti dall’Italia, visto che dopo due anni di stabilità, siamo scesi dell’1,3% del totale; 0,1 punti percentuali in meno rispetto all’anno prima. Ma in ogni caso siamo riusciti a mantenere la dodicesima posizione nel ranking dei principali paesi brevettatori, guadagnandone una (dalla decima alla nona), nello specifico ranking del comparto biomedicale. Un andamento collegato a quello degli investimenti in ricerca e innovazione italiani che dopo alcuni anni di crescita hanno registrato una contrazione del 25% confermandosi comunque su buoni livelli rispetto alla media industriale italiana. In particolare, in base ai dati divulgati da Assobiomedica, gli investimenti in Ricerca e innovazione sono stati mediamente pari al 5,1% del fatturato: il 4,2% nel caso delle multinazionali commerciali, il 5,6% nel caso delle multinazionali di produzione e servizi e l’8,2% in quello delle imprese nazionali di produzione e sevizi. Questi dati, riportati all’intera popolazione delle imprese del settore, consentono di stimare investimenti totali in Ricerca e innovazione pari a circa 1 miliardo di euro, corrispondenti a circa il 6,3% del valore del settore (valore del mercato interno e delle esportazioni).
Anche perché innovare per questo settore è vitale. Per questo alle aziende spetta una grande sfida che è quella di «attivarsi per interpretare al meglio le esigenze -anche nuove – dei clienti, prevedendo se necessario un upgrade delle tecnologie fornite», ha osservato Massimo Carboniero, presidente Ucimu. Ora gli strumenti per farlo non mancano, viste le agevolazioni fiscali previste per le aziende innovative dalla Legge di Stabilità 2017. «Una grande sfida questa», ha proseguito il presidente Carboniero, «che i costruttori italiani sapranno cogliere».

Ne sa qualcosa R+W Italia che presidia il segmento delle tecnologie medicali in particolare con la sua gamma di giunti miniaturizzati MK, caratterizzati da un diametro interno da 1 a 28 millimetri e da una capacità di trasmissione di coppia da 0,05 a 10 Nm.

L’imperativo è la miniaturizzazione

«La ricerca su componenti dalle dimensioni sempre più piccole» ha detto Davide Fusari, country manager R+W Italia, «è sempre più importante per un’industria che ha il compito di produrre apparecchiature facili da trasportare da una struttura all’altra o dall’uno all’altro laboratorio, quindi contrassegnate dalla massima leggerezza possibile. Le loro motorizzazioni tipiche sono di dimensione ridotta e così i giunti, specie per le applicazioni di radiologia».

Conseguentemente, la stessa selezione dei materiali da utilizzare va condotta con estrema cura, nonostante l’indiscussa prevalenza dell’acciaio inox – vincente per la sua nota capacità di resistenza alla corrosione. Inquadrato nella prospettiva di R+W, quello delle tecnologie per le scienze della vita è un territorio in grado di restituire grandi soddisfazioni, date le sue tuttora ampie potenzialità di espansione, e foriero di sfide tanto affascinanti quanto complicate. «L’imperativo è tenere il passo dell’innovazione di prodotto», ha osservato Fusari, «anche in vista della spinta alla sostituzione delle macchine ormai obsolete. Ci consideriamo però pronti a giocare la nostra partita, visto che, per citare un esempio, il giunto della serie FK1 ha una lunghezza di 9 millimetri e un diametro esterno di 4,5 ed è quindi specificamente progettato per le micro-movimentazioni. Anzi, sono pochissimi player di mercato in grado di disporre di un’offerta di giunti e limitatori di coppia miniaturizzati vasta quanto la nostra».

Una conferma alle parole di Fusari è giunta dal responsabile commerciale di una fra le società-clienti del gruppo Poppe-Potthoff, l’ingegner Sergio Ghezzi, in forze alla milanese Nical. Quest’ultima è specializzata nelle tecnologie per l’elaborazione delle immagini radiologiche e agisce tanto nell’ambito del medicale umano quanto in quelli del dentale e della veterinaria, protagonista in tempi recenti di un boom destinato a proseguire in futuro. «Quel che ci ha attratto dei giunti R+W è stata in primo luogo la qualità eccellente delle finiture, insieme con quelle peculiarità di calibratura e dimensione dei fori che hanno superato con successo ogni nostro test mirato. L’intero insieme vanta un’elasticità di elevato livello, come hanno mostrato le applicazioni su macchine dentistiche per lastre endo-orali». Nical, che osserva nel medicale umano una fase di parziale stasi controbilanciata da odontoiatria e veterinaria, ha scelto i giunti di R+W per la loro «completa affidabilità», testimoniata «dalla pressoché completa assenza di scarti o di guasti in sede di collaudo». Non meno rilevante è che si tratta di manufatti di notevole silenziosità, come richiesto dai dentisti.

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