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Il mercato dell’Internet of Things è in crescita in tutto il mondo.  Italia compresa, dove il suo sviluppo potrebbe essere più veloce. A frenarlo, oltre a una bassa conoscenza delle tecnologie, sono:  scarsa disponibilità di risorse economiche da investire, mancanza di coordinamento tra diverse aree aziendali, resistenze interne, difficoltà di accesso agli incentivi, problemi di privacy e cybersecurity. Per non parlare della difficoltà delle imprese a reperire sul mercato figure professionali con le giuste competenze.

La situazione

In corsa fino al 2026, si potrebbe sintetizzare così la crescita del mercato globale dell’IoT nel manifatturiero. Fra tre anni, infatti, stando alla previsione fatta da Marketsandmarkets, il settore varrà qualcosa come 97,9 miliardi di dollari. Un trend che ha fatto vedere i suoi effetti anche sul mercato nazionale, dove il comparto IoT nel 2022 ha toccato gli 8,3 miliardi di euro complessivi (+13% sul 2021). A dirlo, questa volta, è il report dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano. Il valore di questo mercato comprende non solo e piattaforme software IoT, ma anche prodotti e servizi Machine To Machine (M2M), relativi alle applicazioni IoT realizzate per il tramite delle reti mobili di nuova generazione, i sensori, i sistemi che connettono questi alle reti e dunque alle piattaforme di raccolta dei dati.

Agricoltura, settore più in crescita

I settori di attività con tassi di crescita più alti? La Smart Agriculture (540 milioni di euro, +32%), la Smart Factory (780 milioni di euro, +22%) e lo Smart Building (1,3 miliardi di euro, +19%). Ma, in generale, l’offerta di soluzioni IoT è in continua evoluzione, «con un numero crescente di aziende in grado di raccogliere grandi quantità di dati dagli oggetti connessi, grazie ai quali è possibile integrare la propria offerta con nuovi servizi di valore», ha detto ai media Angela Tumino, direttrice dell’Osservatorio Internet of Things, e «questo approccio ha un impatto diretto sui numeri del mercato: i servizi raggiungono quota 3,5 miliardi di euro, circa il 42% del mercato IoT complessivo, con un balzo del +17% rispetto al 2021». In ambito industriale, stando ai dati dell’Osservatorio Polimi, il 77% delle grandi imprese (+8% in un anno) e il 58% delle PMI (+31%) hanno avviato progetti di IoT.

Ancora troppi freni

Ma sono ancora molte le zavorre che rallentano la corsa del comparto, in primis il perdurare di una bassa conoscenza delle tecnologie a cui si aggiungono poi la difficoltà di integrazione tra sistemi hardware e software; mancanza di comprensione dei benefici, instabilità del contesto economico. E poi: scarsa disponibilità di risorse economiche da investire, mancanza di coordinamento tra diverse aree aziendali, resistenze interne, difficoltà di accesso agli incentivi, problemi di privacy e cybersecurity. Per non parlare della difficoltà delle imprese a reperire sul mercato figure professionali con le giuste competenze. Un mismatch che sta frenando, e non poco, lo sviluppo tecnologico e digitale nell’intero sistema Paese, dal mondo delle imprese a quello delle istituzioni e della Pubblica amministrazione.

Competenze cercansi

Non a caso, nel contesto dello European Tooling Forum recentemente organizzato a Milano dalle sigle di rappresentanza italiana e internazionale degli stampisti ISTMA World e UCISAP, di skill shortage ha parlato il docente del dipartimento d’Ingegneria gestionale del Politecnico Marco Taisch. Come riportato dalla rivista specializzata Stampi opinione di Taisch è che il panorama degli impieghi stia cercando o sarà ben presto alla ricerca di «ben 200 nuove competenze, equivalenti ad altrettante opportunità per le giovani generazioni».

L’aspetto più importante riguarda il dove i professionisti del domani risulteranno più richiesti e cioè nell’ambito multiforme delle data science, già affamato oggi di figure come quelli degli esperti di IT Security e dei data engineer. E che in un prossimo futuro avrà bisogno «di funzioni di data orchestrator e di IoT architect; di industrial big data scientist e IT-OT integration manager». Formarle non sarà semplice, ma d’altro tenore sono i timori di Taisch: «La difficoltà», ha detto ancora a Stampi, «non coincide tout court con la creazione di competenze poiché abbiamo la competenza per generarne. La variabile critica è data dal tempo: le tecnologie evolvono con rapidità crescente e aumentano i ritmi dell’accelerazione. Le imprese e l’uomo in genere si trovano in una condizione di continua rincorsa e potrà vincere la partita chi saprà dimostrarsi non solo più bravo nel coltivare le conoscenze adatte, ma soprattutto più rapido».

Risultati tangibili

Segnali positivi e numeri incoraggianti vengono dalle istituzioni oltre che dalle imprese. Anche i big data e in generale la centralità delle informazioni sono stati oggetto di dibattito in occasione della recente missione newyorchese del presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Questi ha ricordato l’importanza dell’ Italian Accademic Center, promosso dall’università di Bologna insieme a La Sapienza di Roma e alla Federico II di Napoli a Cornell Tech, appendice della Cornell University a Roosevelt Island. E ambiziosamente ha conferito alla sua regione il ruolo di Data Valley europea, che può contare «sulla collaborazione strutturale tra sistema produttivo e atenei, le reti regionali dei Tecnopoli, dell’alta tecnologia e dell’alta formazione, oltre ai cluster attivi in tutti i principali comparti». Quanto al mondo del business, a quattro mani con Federmacchine il Centro Studi di Confindustria, citato dal sito de Il Corriere della Sera, ha fotografato l’ottima performance dei beni strumentali italiani «ad alta intensità di automazione, creatività e tecnologia» (i cosiddetti ACT, ndr). Come ha riportato Dario Di Vico, si tratta di «202 categorie di prodotto accomunate da alti livelli di precisione, dalla presenza sempre più qualificante dell’elettronica rispetto alla meccanica e da un crescente contenuto di servizi nell’offerta di vendita». In quest’ambito «studiando (e moltiplicando) le combinazioni tra le categorie di macchinari e le destinazioni-Paese, un territorio tutto sommato piccolo come l’Italia riesce a essere presente in 22 mila casi contro i 23 mila della Rft e i 31 mila della Cina». Big Data vuol dire successo.

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