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Bilancio positivo per il piano di Carlo Calenda sulla 4° rivoluzione industriale entrato in vigore ormai 7 anni fa. Unico punto debole: la formazione del personale. Risultato: un livello di competenze digitali ancora inadeguato.

Bilancio positivo con un unico problema

A sette anni dall’entrata in vigore del Piano di Carlo Calenda sulla quarta rivoluzione industriale, il bilancio può dirsi positivo. E il Pil del Paese in crescita del 3,9% nel 2022 e dello 0,5% nel primo trimestre del 2023  (meglio della media Ue)  lo evidenzia. «Industria 4.0 ha fatto crescere il Pil italiano perché grazie agli incentivi fiscali ha messo in moto investimenti in beni strumentali che hanno reso la manifattura italiana più competitiva nell’arena internazionale», ha dichiarato al Corriere della Sera Marco Taisch, docente al Politecnico di Milano, uno degli esperti che hanno supportato Calenda nella redazione di Industria 4.0 e oggi presidente di Made, il Competence center lombardo. «Il trascinamento è stato nei confronti dei produttori di macchinari che sono stati costretti a produrre oggetti più evoluti, a creare innovazione, ad esportare e quindi a restare in palla. Sommando le due voci si è stati capaci di indicare fattivamente alla manifattura italiana la direzione della trasformazione digitale». Unico punto debole: la formazione del personale, sulla quale le aziende non si sono mosse in maniera decisa. Risultato: un livello di competenze digitali ancora troppo basso. 

Il Piano transizione 4.0 traina (per ora) le Pmi

E le ricerche condotte dall’Osservatorio Internet of Things della School of Management del  Politecnico di Milano su 153 grandi imprese e 301 PMI italiane confermano. In base ai risultati, infatti, la quota di piccole e medie imprese a conoscenza di soluzioni I-IoT è salita all’87% facendo registrare un incremento del 41% rispetto al 2021, mentre le grandi imprese sono al 98%. Il 77% delle grandi aziende e il 58% delle PMI ha deciso di avviare almeno un progetto in ambito 4.0, ma per entrambe le tipologie di imprese la mancanza di competenze risulta ancora il fattore principale che limita l’avvio dei progetti (44% grandi aziende e 38% PMI).
«In generale, rispetto a quanto rilevato nel 2021», ha evidenziato Giovanni Miragliotta, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet of Things, «si assiste a una riduzione del gap tra grandi imprese e PMI in termini di conoscenza (-39%) e diffusione dei progetti (-23%) di Industrial IoT. Questa ritrovata energia da parte delle PMI è stata fortemente trainata dal Piano Transizione 4.0 e ora il dimezzamento dei crediti di imposta a partire dal 2023 potrebbe portare a un rallentamento di questa dinamica».

Dati, questi sconosciuti

 Un altro punto debole messo in luce dalla ricerca dell’Osservatorio del Polimi riguarda i dati raccolti da dispositivi e macchinari connessi. Il 48% delle grandi aziende e il 70% delle PMI, infatti, li utilizza poco o per nulla o addirittura non sa come fare. E, tra le barriere che ostacolano le imprese nell’analisi e valorizzazione dei dati, figura la mancanza di competenze e di figure specifiche per la loro valorizzazione (indicata dal 50% dei rispondenti di grandi aziende e dal 30% di PMI). Un gap quello della formazione e dell’analisi dei dati che va colmato il più velocemente possibile se l’obiettivo è quello di trarre dalla Industry 4.0 i maggiori vantaggi possibili in termini di produttività e competitività sui mercati internazionali.

Bene la produzione di macchinari

Sul fronte della produzione di macchinari 4.0 le cose vanno decisamente meglio.  L’incremento di progetti industriali in ambito 4.0 anche nelle Pmi, infatti, ha dato una spinta decisiva all’industria italiana della robotica, che nel 2021 (ultimi dati a disposizione) ha messo a segno un aumento della produzione del 6,6% rispetto all’ano precedente. A trainare la crescita è stato principalmente il mercato interno aumentato del 22,6% rispetto al 2021. I robot installati hanno trovato il loro primo settore industriale di distribuzione nell’automotive, tradizionalmente considerato il comparto trainante della robotica, seguito da quello metallurgico, manifatturiero, alimentare e della plastica. A livello europeo, l’Italia è il secondo mercato di robot alle spalle della Germania e il sesto paese al mondo per numero di installazioni robotiche nelle imprese.

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