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Utilizzo di materiali a impatto zero e riciclo della plastica hanno fatto fare al mercato del packaging per gli alimenti passi da gigante negli ultimi anni. I macchinari per il confezionamento si sono adeguati, diventando sempre più sofisticati ed eco-friendly. Nel nome dell’economia circolare.

Stando agli ultimi dati resi disponibili da Plastics Europe, la quantità di materie plastiche e gomme prodotte a livello mondiale ammonta a 359 milioni di tonnellate, in crescita rispetto alle 348 milioni di tonnellate dell’anno precedente.

Il volume prende in considerazione termoplastiche, termoindurenti, elastomeri e poliuretani; esclude invece le fibre.

Di queste 61,8 milioni sono state prodotte in Europa, un numero in calo rispetto ai 64,4 milioni di tonnellate del 2017.

Stando alle stime, anche il 2020 sarà caratterizzato da una discesa, condizionata dalla debolezza dell’economia a livello globale, dal crescente clima di incertezza successivo allo tsunami del Covid-19 e dallo stato di stagnazione industriale in cui versano settori chiave come l’auto.

Economia circolare, Italia seconda in Ue alle spalle della Germania

Situazione stabile sul fronte della trasformazione di materie plastiche nel vecchio continente, ferma a 51,2 milioni di tonnellate.
La Germania si è confermata al primo posto con il 24,5% dei consumi totali, seguita dall’Italia con il 13,9%, Francia con il 9,4% e Spagna con il 7,6%.
Dal punto di vista delle applicazioni finali, il 40% circa delle plastiche trasformate in Europa finisce nell’imballaggio, il 20% nelle costruzioni e poco meno del 10% nel settore automotive; il resto è suddiviso tra elettrico/elettronico (6,2%), casalinghi, sport e tempo libero (4,1%), agricoltura (3,4%) e altro (16,7%).

La sostenibilità premia

Proprio nel confezionamento di oggetti e alimenti la corsa ai materiali bio e alternativi alla plastica, negli ultimi tempi, ha subìto una forte accelerazione.
L’accordo raggiunto tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione sul testo della direttiva che limita l’utilizzo di alcuni prodotti monouso, infatti, non lascia spazio a interpretazioni sul futuro dei polimeri.

Per questo motivo le aziende legate direttamente o indirettamente allo smaltimento di rifiuti plastici si sono viste costrette a cambiare le loro strategie.
Anche perché: «Oggi l’azienda sostenibile viene ripagata in sostegno concreto dai consumatori», ha dichiarato Nicola Neri, amministratore delegato di Ipsos Italia presentando i dati di una ricerca condotta dall’Istituto.

«Il 68% dei cittadini italiani dichiara di essere disposto a pagare di più per un prodotto o servizio proveniente da un’azienda che attua politiche ambientali serie e rigorose».

L’ultima frontiera dei materiali a basso impatto

Così la ricerca di nuovi materiali eco friendly per gli imballi ha fatto passi da gigante e, sostenuta dalla forte collaborazione tra ricercatori universitari e multinazionali alimentari, è andata ben oltre la discussione tra bioplastiche biodegradabili e non biodegradabili.

Qualche esempio?

Ispirandosi a una mela, per esempio, un team di ricercatori dell’Università di Harvard ha creato la tecnologia Wikicell che consente di creare confezioni alimentari commestibili e che potrebbe archiviare per sempre la plastica.

Mentre quelli dell’Università del Connecticut, con il supporto di Kraft Foods, hanno inventato un imballaggio intelligente che grazie a una lingua elettronica e speciali sensori, è in grado di fare cambiare colore alla confezione quando il cibo si sta deteriorando.

Un altro prodotto rivoluzionario ideato da MonoSol per il fast food è l’imballaggio solubile in acqua, un packaging totalmente biodegradabile e quindi, utilizzabile anche per gli alimenti.
Il nuovo materiale si scioglie in acqua senza lasciare alcuna traccia e senza contaminare il liquido.

Infine ci sono gli imballaggi auto-raffreddanti e auto-riscaldanti: Microcool è per esempio capace di assorbire anidride carbonica dall’aria e di rilasciarla appena si preme un pulsante ottenendo così l’immediato calo della temperatura.
Mentre HeatGenie, un materiale aggiunto sul fondo del contenitore, è in grado di riscaldare gli alimenti fino a 65°gradi centigradi in due minuti soltanto.

E siamo solo all’inizio. 

La triturazione innanzitutto

Tra le aziende in prima linea nel campo dei processi della circular economy e del riuso ci sono anche R+W  e il gruppo Poppe + Potthoff  con una serie di applicazioni di interesse che hanno coinvolto in particolare la famiglia dei grandi limitatori di coppia modulari della serie ST.

Il focus è sulle operazioni preliminari e necessarie al riciclo e cioè la triturazione e frantumazione dei materiali.

«Questo tipo di impianti», ha detto il responsabile commerciale per l’Italia di R+W Davide Fusari, «permette di trattare pezzi e materiali di diversa tipologia e dimensione ed è normalmente sottoposto a sforzi ingenti.

Il sovraccarico è un rischio concreto e, qualora si verificasse, i limitatori ST di R+W possono interrompere la trasmissione della coppia mediante un segnale elettrico e, per questo, bloccare il funzionamento della macchina».

La loro funzione è quindi di sicurezza e salvaguardia e si rivolge anche alle lame speciali per lo sminuzzamento dei rifiuti, a loro volta esposte ai pericoli di una fisiologica usura che impatta l’intera catena cinematica costringendo la macchina a uno sforzo maggiore, eccessivo.

«Il limitatore», ha osservato Fusari, «interviene in questo caso a impedire gli eventuali danneggiamenti a carico dei riduttori e dei motori e può essere considerato una spia attendibile del livello d’usura di un impianto».

Le soluzioni R+W sono presenti tuttavia anche all’altra estremità del processo produttivo della plastica e delle plastiche riciclate, ovvero nelle fasi di trasformazione e iniezione nelle quali «il sovraccarico può essere causato da depositi di materiale solido tipici, per esempio, dei più o meno lunghi periodi di inattività».

Anche in una simile circostanza, i limitatori di coppia modulari possono svolgere funzioni di sicurezza e allerta, in presenza di materiali sensibili e di variabile fluidità.

Rigenerazione d’esportazione

Davide Fusari ha opportunamente sottolineato che «per quanto abbia già dimensioni imponenti, il business delle tecnologie di riciclo potrà diventare ancora più allettante dal momento in cui si riuscirà a creare una cultura adeguata anche nei Paesi emergenti».

Non è solamente agli emergenti, ma più in generale all’export, che guarda una fra le aziende clienti di R+W in Italia, la padovana Forrec.

Quest’ultima ha presentato di recente il trituratore TX1600, specificamente indirizzato al recupero a fine vita degli pneumatici in vista della loro rigenerazione.
Già commercializzato negli Emirati Arabi Uniti, è economicamente sostenibile perché pensato per assicurare una produttività minima di 5 tonnellate di materiale l’ora.

Rispetto ad altre tecnologie precedenti, ha rilevato il produttore, «è dotato di lame speciali di cosiddetto taglio pulito per ovviare alla problematica dello sfilacciamento del filo d’acciaio contenuto nella gomma dello pneumatico».
Il prodotto che ne risulta è richiesto in particolar modo dai cementifici che lo impiegano come combustibile (TDF, tyres-derived fuel).

Forrec dà così un contributo alla risoluzione del problema del corretto smaltimento degli pneumatici usati, regolata e normata in Occidente grazie anche all’operato di consorzi come Ecopneus, ma di complicata gestione altrove.
Questo a fronte altresì della costante crescita di questo genere di materiali dismessi, giunti a totalizzare nel 2017 la cifra monstre di 3,5 milioni di tonnellate, + 4% sul 2016.

 

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