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Il comparto delle macchine per il confezionamento dei prodotti ha chiuso il 2015 con un fatturato di oltre 6 miliardi di euro. E per il 2016 si prevede un trend in crescita. Trainano la corsa i rami beverage e food, entrambi caratterizzati da una corsa all’innovazione.

Di Nadia Anzani e Roberto Carminati

 

 

Lo spreco alimentare del pianeta costa ogni anno 1.000 miliardi di dollari, cifra che lievita a 2.600 miliardi se si considerano anche i costi nascosti legati all’acqua e all’impatto ambientale. Restringendo il campo all’Unione Europea le cose non migliorano, basti dire che ogni anno nel Vecchio Continente si buttano 90 milioni di tonnellate di cibo e ogni giorno si sprecano 720 chilocalorie di cibo a persona. L’Italia non fa eccezione. A casa nostra, infatti, lo spreco di cibo domestico vale 8,4 miliardi di euro all’anno, ovvero 6,7 euro settimanali a famiglia per 650 grammi circa di cibo sprecato. Questa la fotografia fatta dall’ultimo rapporto Waste Watcher 2015, presentato lo scorso febbraio in occasione della Terza giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare. Un annoso problema che può essere affrontato e prevenuto anche ricorrendo all’uso del giusto packaging come ha sottolineato Marco Sachet, direttore dell’Istituto Italiano Imballaggio: “Nei Paesi in cui mancano le tecnologie per contenere, proteggere, conservare ma anche trasformare e trasportare gli alimenti di base, infatti, questi vanno perduti fino al 90% prima di poter essere fruiti. Ma i consumatori tendono a focalizzare l’attenzione solo sulla parte di vita degli alimenti che va dal momento dell’acquisto al momento della fruizione. Invece il packaging agisce anche a monte: per questo è la garanzia della corretta conservazione del cibo”.

 

Macchine per imballaggio, settore leader del made in Italy

Il concetto piano piano si sta facendo strada come dimostrano i dati del settore delle macchine per l’imballaggio, di cui l’Italia è uno dei principali paesi produttrici. Stiamo parlando di un universo che conta 588 aziende, la maggior parte delle quali con sede in Emilia Romagna, 27.906 addetti e che ha chiuso il 2015 con un fatturato complessivo di 6,1 miliardi di euro, realizzato per l’80,7% sui mercati internazionali e per la restante parte su quello interno (dati del Centro Studi Ucima, l’Associazione nazionale di categoria). Cifre che delineano i contorni di un settore in continua crescita, nonostante la congiuntura negativa, che si contende il primato dell’export internazionale con i costruttori tedeschi. Oltre il 50% delle macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio vendute nel mondo sono infatti italiane e tedesche.

 

Alimentari e bevande trainano la domanda di macchinari

A trainare la domanda in Italia come all’estero è principalmente il comparto del beverage, che registra vendite di macchinari per 1.525 milioni di euro, seguito dal food con 1.334 milioni di euro, farmaceutico (851 milioni di euro), cosmetico (227 milioni di euro), dall’industria chimica e dell’home care (153 milioni di euro). Un trend destinato a proseguire anche per il 2016. “La raccolta ordini nei primi quattro mesi dell’anno risulta in crescita”, ha dichiarato Enrico Aureli, Presidente di Ucima. “Siamo pertanto fiduciosi di riuscire a migliorare i risultati raggiunti a fine 2015”. Secondo Cubo, l’analisi previsionale sulla domanda mondiale di macchine packaging realizzata dal Centro Studi Ucima, infatti, alla fine del prossimo triennio il valore del mercato mondiale raggiungerà i 42,7 miliardi di euro, con una crescita stimata anno su anno del 5,4%.

Del resto che il settore stia registrando buone performance lo testimonia anche il buon andamento del comparto della meccanica strumentale, quello che produce robot e linee strumentali per gli ambiti più disparati tra cui anche il packaging, che nel 2015 è stato il mercato con la maggior crescita di export, arrivando a toccare gli 82 miliardi di euro.

 

Il ruolo decisivo della ricerca

Dinanzi a sé i player di punta del comparto vedono inoltre un panorama tuttora ricco di opportunità. “Il mercato è competitivo e in continua espansione”, ha detto il vicepresidente di Ilapak Andrea Zuccheri, “e l’ampliamento dei volumi va di pari passo con la richiesta di soluzioni sempre più complesse e raffinate. Per questo l’innovazione è un fattore decisivo”. Ilapak è controllata dal colosso bolognese Ima ed è nata in Svizzera ma oggi possiede due impianti di produzione in Italia, altrettanti nella Confederazione, uno in Cina e un altro negli Stati Uniti, che le assicurano un volume d’affari pari a circa 135 milioni di euro. “Nell’ultimo quinquennio”, ha ricordato Zuccheri, “il business è aumentato costantemente del 10-15% l’anno. Questo si deve al fatto che nei Paesi più avanzati si è alla caccia di nuove soluzioni per sostituire gli imballi tradizionali; mentre altrove si è oggi in fase di industrializzazione”. La ricerca sui materiali sta acquisendo perciò un ruolo determinante: “Le macchine devono rispondere a requisiti precisi e possono così imporre l’integrazione di parti specifiche per le quali si ricorre comunemente alle leghe di acciaio o alluminio trattate superficialmente con rivestimenti mirati alla riduzione dell’attrito, aumento della resistenza all’usura, per esempio. Mentre per quel che riguarda gli imballi propriamente detti, l’obiettivo-principe è l’ottimizzazione dei costi di produzione”.

Le aziende puntano così al miglioramento dell’effetto-barriera rispetto agli agenti esterni nonché a potenziare saldabilità, tenuta e velocità dei macchinari, in vista di una accresciuta produttività: “E le prospettive di sviluppo sono ancora molto interessanti”, ha detto Zuccheri.

 

Leggerezza, servizi e risparmio energetico

Dal suo punto di vista di fornitore del gruppo Ima e della stessa Ilapak, R+W Italia condivide e puntualizza: “Stiamo lavorando sui materiali per rendere i prodotti più leggeri e meno energivori”, ha detto il country manager Davide Fusari, “ma al tempo stesso i nostri giunti devono caratterizzarsi per la massima possibile resistenza agli agenti esterni, pure di natura chimica”. Cambia per conseguenza la tipologia delle commodity utilizzate nel cui novero conquistano spazio gli allumini trattati e, soprattutto nel beverage, l’inox, in luogo degli acciai tradizionali. La previsione del marchio del gruppo Poppe Potthoff, che deve al packaging un quarto del suo fatturato, è che dall’attuale percentuale del 20% di utilizzo l’alluminio possa arrivare nel medio periodo al 50. Il successo si giudicherà però anche in base ad altri parametri: “Soprattutto i grandi committenti”, ha detto Fusari, “manifestano la necessità di un servizio uniforme. In gioco non c’è tanto la rapidità delle consegne in sé e per sé quanto la certezza che le tempistiche restino immutate nel tempo, consentendo loro di pianificare al meglio i flussi di lavoro interamente gestiti con sistemi informatizzati. È quindi nella costanza che si esplicita l’eccellenza di un fornitore nel segmento del confezionamento”.

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