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La nuova frontiera dell’occupazione è l’operaio aumentato. Un uomo affiancato da tecnologie che ne potenziano il ruolo e le competenze. Come i robot. La Germania insegna e l’Italia apprende in fretta. Come dimostra questa inchiesta sul campo commissionata da R+W Italia.

 

Occupano meno spazio di quelle attuali, sono flessibili, veloci e in grado di fornire prodotti personalizzati. Queste in sintesi le caratteristiche delle fabbriche 4.0, quelle dotate di sistemi informatici in grado di interagire in modo continuo fra loro e con l’ambiente in cui operano, capaci di prototipare, sviluppare e realizzare un prodotto in poco tempo. Obiettivo: bruciare la concorrenza. Ad affinare gli articoli ci si pensa in un secondo momento sulla base dei feedback che si ricevono dal mercato. Perché nel prossimo futuro il ciclo di vita della merce sarà ancora più breve rispetto a quanto non lo sia già. E tenere il passo è vitale. Per fare questo è necessario abbandonare le vecchie logiche produttive, abbracciare una nuova cultura, riorganizzare la propria linea di produzione, dotarsi di macchine intelligenti, robot cooperanti, apparati logistici in grado di scambiarsi autonomamente informazioni che permettano di raggiungere il target finale. Quindi investire in tecnologia, innovazione e formazione.

Le Pmi faticano a tenere il passo

Un cambiamento di cultura che in Italia fatica a prendere piede, anche perché la base su cui dovrebbe poggiare le sue fondamenta la cosidetta Quarta rivoluzione industriale, quella basata sull’Internet delle cose e dei servizi (IoT), è la banda larga che ancora non è presente su tutto il territorio nazionale. Nell’attesa che le azioni chiave del governo, presentate il 21 novembre 2015 durante il Digital day, per aiutare il Paese a cogliere i benefici delle nuove tecnologie, diventino una realtà, qualche timido passo per trasformare le aziende in smart factories, le imprese lo stanno facendo. Almeno quelle di grandi dimensioni, perché le medie imprese, quelle che impiegano fra i 250 ed i 300 addetti e fatturano circa 120 milioni, devono ancora prendere sul serio il tema e attivarne la fase progettuale.«L’adozione dello smart manufacturing è legata a stretto filo alla maturità aziendale, manageriale, finanziaria, alla capacità di investimento e strategica delle aziende», ha spiegato ai media Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Smart manifacturing della School of management del Politecnico di Milano.«Ma anche di lungimiranza».

Su la domanda di competenze digitali, giù quella di abilità manuali

Non mancano poi le resistenze di alcuni rappresentanti sindacali, convinti che le industrie 4.0 con i loro robot intelligenti porteranno a un taglio di posti di lavoro sostanzioso. A questi Davide Di Domenico, partner di Boston Consulting Group e responsabile per Grecia e Turchia della practice Industrial goods, risponde: «Il calo di operai addetti alle fasi di lavorazione del prodotto ci sarà, ma verrà assorbito dall’industria meccanica a cui sarà delegata parte della realizzazione dei robot e degli impianti di automazione e in generale crescerà la domanda di competenze digitali e calerà quella di abilità manuali». Come del resto dimostra anche una ricerca di Boston Consulting Group in base alla quale in Germania, paese in cui le fabbriche smart sono già in via di sviluppo, da qui al 2025 ci saranno 350 mila occupati in più. In particolare il ricorso a robot di ultima generazione e di linee completamente automatizzate impatterà sui posti di lavoro nei reparti produttivi e di assemblaggio del settore manifatturiero tedesco, che diminuiranno di circa 610.000 unità, ma la perdita sarà bilanciata dalla forte richiesta di personale specializzato in Information technology e data service, che introdurrà nel mercato del lavoro 960 mila persone.

Largo all’operaio aumentato

E Miragliotta, aggiunge: «Le imprese più brave a intridurre il digitale puntano sempre più sull’operaio aumentato, una figura professionale poliedrica e competente che sa gestire la complessità molto meglio di un automa. Il suo ruolo si rafforza con l’aumento dell’incertezza e della variabilità del mercato». Come dire che, robot a parte, il contributo umano è e resta inostituibile. Certo sarà un uomo sempre più affiancato da tecnolgie che ne potenziano il ruolo e le competenze, come i sensori speciali, dispositivi indossabili, internet delle cose e realtà aumentata, a cui si aggiunge una robotica di nuova generazione, il cui filone più interessante è quello dei robot collaborativi, chiamati anche cobot. Cosa sono? Macchine capaci di intergire con gli uomini, che gli stanno accanto nella catena produttiva e non sono chiusi in una gabbia o in una stanza. Certo l’investimento delle aziende nelle persone sarà sempre più mirato e attento, anche perché deve rendere in fretta. Da qui l’importanza di una formazione adeguata e mirata. Anche perchè al personale verrà chiesto di compiere molte operazioni e di impararne continuamente di nuove. Vietato perdere tempo se si vuole stare al passo dei mercati internazionali.

Il fine è la qualità, la tecnologia il mezzo

Lo sa bene l’azienda dolciaria lecchese Icam, sul mercato dal 1946, che per  cogliere il traguardo dell’eccellenza della sua offerta, forte di un fatturato 2015 da 135 milioni di euro, ha puntato su un nuovo impianto da 50 mila metri quadri a Orsenigo (Lecco), che garantisce la produzione di 30 mila tonnellate di cioccolato l’anno. Ma soprattutto, ha scommesso sui nativi digitali: «Nello stabilimento realizzato fra il 2009 e il 2010 abbiamo assunto addetti giovani e per lo più in possesso di un titolo da periti industriali», ha detto il vice presidente Plinio Agostoni, «in grado di farsi portatori in prima persona di una cultura diversa e più elevata che ha fatto da catalizzatore alle tecnologie innovative implementate. Perché oggi l’informatica pervade ogni aspetto della realtà sociale. Loro sanno come gestirla sin dalla nascita». E sono perciò i professionisti più indicati per operare sulle linee di più recente installazione, monitorate pressoché in toto grazie a tecnologie Siemens della serie S7 capaci di offrire visibilità in tempo reale sul ciclo di vita dei prodotti con grafici e tabelle aggiornati e un ricco database storico. «Il nostro impianto», ha proseguito Agostoni, «è del tutto digitalizzato e ogni processo è cablato. La sua gestione è centralizzata mentre ogni lotto di materia prima in arrivo da fornitori di cacao latino-americani e africani è controllato e tracciato minuziosamente. Tutti i parametri critici sono monitorati con precisione, dalla debatterizzazione alla tostatura, un passaggio fondamentale dal quale dipende l’aroma del cioccolato e al quale concorrono aspetti come la temperatura, l’umidità e la saturazione del vapore, essenziali per creare un certo tipo di cacao e del tutto seguiti con sensori».

Assaggio 4.0

I processi manifatturieri possono essere così modulati tramite una regolazione fine dei sensori riportato alle sale di controllo in modo da «ottenere il massimo della qualità intrinseca del prodotto», secondo l’espressione di Agostoni. Tutto lo stabilimento di Orsenigo è orientato a questa logica e destinato a essere ulteriormente potenziato con nuovi investimenti di ambito 4.0 ma la digitalizzazione impatta anche sui rapporti con la supply chain. «Abbiamo relazioni dirette con le cooperative fornitrici», ha detto Agostoni, «di cui conosciamo il tipo di cacao coltivato. I loro carichi sono campionati e approvati all’imbarco e sottoposti all’arrivo a minilavorazioni, analisi e assaggi che vengono replicati al temine della produzione propriamente detta. Essenziale è verificare le proprietà chimiche e organolettiche del prodotto e tenerne traccia sin dalle fasi della raccolta, dell’essiccazione e della fermentazione dei semi, in base a standard rigorosi affinati con il tempo». Oggi, è quanto espresso da Agostoni in conclusione, «la digitalizzazione ottimizzata è adeguata ai bisogni di Icam e serve la sua missione di eccellenza qualitativa insieme alle specifiche esigenze di lavoro. Ma la strumentazione decisiva è l’assaggio. E gli assaggiatori sono continuamente formati».

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