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Un robot in reparto

Un robot in reparto

Il moltiplicarsi delle installazioni di automi più o meno collaborativi negli ospedali italiani dà conto dell’importanza che questi sistemi stanno assumendo per la chirurgia, qui e nel mondo, specialmente per via della loro capacità di svolgere le operazioni più delicate. Minimizzando i rischi.

Realtà aumentata e machine learning sono sempre più protagonisti negli ospedali e nelle sale operatorie. Dal 2011 a oggi, infatti, i cosiddetti Robot collaborativi, noti anche con il nome di Cobot, hanno fatto passi da gigante, consentendo di ridurre drasticamente gli errori e facilitare il recupero fisico da parte del paziente. Uno dei campi della chirurgia dove i Cobot sono maggiormente utilizzati è quello dell’ortopedia. I numeri parlano da soli. Stando ai dati 2017 registrati dalle schede di dimissione ospedaliera, dal Programma nazionale esiti e del Registro italiano artroprotesi (Riap), in Italia si effettuano mediamente circa 200 mila procedure di artroprotesi l’anno, che vedono l’intervento all’anca (oltre 108 mila casi) e la sostituzione dell’articolazione di ginocchio (poco più di 80 mila interventi) ai primi posti. Ma in campo ortopedico si ricorre all’intelligenza artificiale anche per effettuare veri e propri interventi chirurgici al ginocchio o agli arti.

Margine di errore inferiore al millimetro

Del resto, la precisione del braccio robotico guidato da un medico chirurgo ha un margine di errore inferiore al millimetro e consente di operare senza intaccare i tessuti sani circostanti. Ma, stando a quanto dicono gli esperti, il potenziale della chirurgia robotica in ortopedia è immenso. Basti dire che secondo gli analisti, il mercato mondiale dei robot chirurgici è destinato a crescere a un tasso di oltre il 20% l’anno nel prossimo futuro. Macchine pronte a integrare all’interno delle consolle, intelligenza artificiale, big data e algoritmi di machine learning, per fare della chirurgia robotica un’attività sempre più performante, flessibile e sostenibile. Ma sempre a sostegno della mano e del cervello dell’uomo, visto che il robot, in questo ambito, mette in pratica solo ciò che l’uomo pensa e progetta.

I robot collaborativi oltre a rivoluzionare il mondo industriale stanno ribaltando anche quello della sanità.
Strumenti che vedono nell’elevata facilità di impiego e nella capacità di rendere più economici i processi le loro caratteristiche principali.

Davide Fusari, Direttore commerciale di R+W Italia

Un mercato in continua evoluzione

Le sfide per il futuro degli operatori di questo settore? Rendere la chirurgia robotica sempre più piccola, flessibile, capace e meno costosa. I big internazionali del settore stanno già lavorando in questa direzione. Qualche nome? MedTech (azienda francese che è stata acquisita da Zimmer Biomet ) e la statunitense Mako Surgical (oggi entrata a far parte della galassia di Stryker) due colossi che in campo ortopedico sono tra i più attivi con le loro macchine sempre più sofisticate.

Si deve invece alla californiana Intuitive Surgical lo sviluppo di uno fra i modelli di robot-chirurgo più efficienti, completi, popolari.
Si tratta del sistema
Da Vinci i cui esemplari sono presenti – solo per citare alcuni esempi illustri – nei reparti dell’istituto Humanitas, dove trova applicazione in ambiti che spaziano «dall’urologia alla ginecologia e dalla chirurgia toracica alla chirurgia generale»; o presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO).

Qui, è stato stimato che «dal 2006 ad oggi, gli interventi robotici sono stati 7.188». Lo stesso IEO si è soffermato sulle potenzialità della robotica applicata alla chirurgia rilevando che essa permette di controllare «attraverso una console, strumenti di alta precisione posti all’interno dell’addome attraverso piccole incisioni di 1-2 centimetri. I movimenti dell’operatore, vengono riprodotti all’interno del campo operatorio in maniera più precisa ed eliminando il naturale tremore delle mani. Eseguire un intervento con tecnica robotica», è il commento apparso sul sito web ufficiale della struttura milanese, «riduce i rischi correlati alla chirurgia classica e offre numerosi benefici al paziente». Fra questi una ridotta degenza; meno dolore e sanguinamento, minori rischi di infezione e minor necessità di trasfusione.

Un nuovo capitolo

Alla fine dello scorso settembre il modello Da Vinci Xi è andato ad arricchire la dotazione tecnologica dell’ospedale capitolino San Carlo di Nancy e in particolare delle sue unità di urologia; mentre lo scorso anno a Catania era avvenuta la centesima installazione della soluzione in Italia. Già, perché proprio la Penisola sembra essere autentica capofila internazionale della chirurgia robotica e in generale dell’automazione abbinata alle discipline cliniche e per rendersene conto basta pensare che, come ricordato da La Stampa, a metà decennio i Da Vinci in funzione sul territorio dello Stivale erano solamente 77. La locomotiva è, da questo punto di vista, la Lombardia, come hanno certificato le pagine specializzate di Industrie 4.0. Qui è stata citata la ricercatrice di Ipsos Eva Sacchi, secondo la quale l’86% dei cittadini lombardi ha sentito parlare dei robot-chirurghi e il 74% ha detto di nutrire in essi la massima fiducia. Il 61% infine ritiene il loro uso vantaggioso, a patto che (74% delle risposte) il personale medico venga adeguatamente (in)formato.

Nadia Anzani e Roberto Carminati
Nadia Anzani e Roberto Carminati

Articolo a cura dei giornalisti professionisti Nadia Anzani e Roberto Carminati

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Nadia Anzani e Roberto Carminati

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